È passato molto tempo e oggi riguardo le abitazioni sono nati molti nuovi termini come “casa passiva”, che è una casa che non consuma o persino produce energia grazie al perfetto isolamento dall’esterno, “casa bioclimatica” la quale non consuma o produce energia sfruttando gli elementi esterni come vento, sole, etc. Queste due situazioni possono tranquillamente coesistere nella stessa costruzione. E ancora casa “ecosostenibile” o “biocompatibile” che riguardano l’uno i materiali (che devono essere naturali, locali, decomponibili o riciclabili, quindi sostenibili dal punto di vista di produzione, trasporto, utilizzo e riutilizzo) l’altro la salubrità dell’edificio stesso (che deve essere in armonia con l’ambiente circostante e privo di tutti quegli elementi caratteristici dell’”edificio malato”. Il termine “bioarchitettura” ormai comprende nel linguaggio comune entrambe queste espressioni.
Si potrebbe dire che i principi delle Prairie houses siano pressoché gli stessi che oggi stanno alla base della bioarchitettura. Si sta tornando infatti ad avere una maggiore attenzione al rapporto tra costruzione e ambiente, soprattutto per quel che riguarda gli sprechi energetici. Si vuole una casa che sia in armonia col resto del mondo, che ci protegga fisicamente e psicologicamente senza mettere a repentaglio la salute del pianeta, case costruite con materiali ecosostenibili e che non rischino di nuocere alla nostra salute solo per avere mobili più bianchi o muri che asciughino più in fretta, case costruite in un modo biocompatibile, una casa che non ci faccia spendere il 50% in più sprecando energia. Si cerca insomma di ritrovare quell’armonia nella triade che cercava anche Wright e che ci permetterebbe di non rinunciare né all’”utile” né al “bello”.
Foto di jacqueline.poggi su Flickr